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Bulzi, svelata origine della chiesa di S.Pietro delle immagini

Da sempre avvolta nel mistero, la
chiesa di San Pietro delle immagini, a Bulzi, in provincia di
Sassari, svela le sue origini grazie a una campagna di scavi
archeologici commissionati dalla Diocesi di Tempio-Ampurias e
dal Comune di Bulzi.

   
L’indagine, condotta da Domingo Dettori e dalla sua equipe,
ha individuato e portato alla luce le fondazioni dell’aula
capitolare e delle cucine, chiarendo così, in maniera
definitiva, che la chiesa di San Pietro non era una cattedrale,
come sostenuto da qualche studioso, ma l’oratorio di un
monastero.

   
Negli strati più profondi del terreno sono stati ritrovati
strumenti di selce riconducibili a seimila anni fa. Su questi il
tempo ha sovrapposto reperti protostorici, nuragici, punici,
romani e altomedievali, fino al momento della edificazione del
monastero e della sua esistenza durata tre secoli. Eccezionale è
stata la scoperta di una moneta in lega d’argento (billone) che
dimostra i legami stretti tra il monastero delle Immagini e la
Francia del XII-XIII secolo. Si tratta di un rarissimo e
particolare conio, della tipologia detta “Obole”, emesso a
Nevers in Borgogna, tra il 1193 e il 1199, da Pietro II signore
di Courtenay (1155-1219), quando per via matrimoniale divenne
Conte di Nevers d’Auxerre e di Tonnerre.

   
La moneta argentea riporta al periodo, tra la fine del XII e
i primi del XIII secolo, quando furono ampliati il monastero e
la chiesa. I maestri costruttori che compirono l’opera,
organizzati in corporazione e specializzati, lasciarono traccia
del loro passaggio con serie di segni lapidari simili ai così
detti marque de tacheron rilevati in Francia.

   
Alcuni di questi graffiti rimandano ad altri, attestati nel
XIII secolo in Borgogna, presenti nella chiesa di Notre-Dame de
Cluny che aveva con Bulzi l’altro particolare legame, sempre di
quel periodo, tra la propria deposizione del Cristo dalla croce
e il gruppo ligneo custodito per i secoli successiv a San Pietro
delle Immagini.

   
Gli scavi hanno anche certificato la fase di abbandono dei
luoghi, riconoscendo nei frammenti di ceramica a lustri
metallici di produzione islamica e iberica l’ultimo segnale di
vita cristallizzata alla prima metà del 1.300, probabilmente a
causa dagli eventi bellici che contrapposero i Doria ad Arborea.

   
Le strutture ormai deserte saccheggiate e spogliate di tutto
divennero negli anni rifugio di bande armate che lasciarono
tracce dei loro bivacchi e delle loro armi, puntualmente
documentate.

   

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