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Al Policlinico Sassarese impiantata una protesi di caviglia con tecnica personalizzata in 3D

Al Policlinico Sassarese è stata impiantata oggi per la prima volta in Sardegna una protesi totale di caviglia con una nuova tecnica operatoria che prevede un approccio “personalizzato” e in 3D. Il team di specialisti composto da Andrea Valcarenghi e Marco Zamperetti, ortopedici del Policlinico Abano di Abano Terme (PD), struttura appartenente allo stesso network sanitario, e dalla collega Sara Meschini del Policlinico Sassarese ha operato una paziente sarda di 60 anni mettendo a disposizione l’esperienza della struttura veneta che ha in questo ambito una casistica tra le più ampie d’Italia ed è stata la prima in Europa, alla fine dello scorso anno, ad adottare tale metodica.

Il sistema utilizzato dall’unità funzionale di Chirurgia del Piede e della Caviglia del reparto di Ortopedia e Traumatologia del Policlinico Abano, oggi disponibile anche per il Policlinico Sassarese, si basa sulla preparazione di un’accurata pianificazione pre-intervento che utilizza le immagini tridimensionali della tac della caviglia da operare, inviate negli Stati Uniti in un laboratorio a Memphis, nel Tennessee, specializzato nella realizzazione di guide per il taglio osseo “su misura”.

Questa tecnica innovativa, sviluppata da Stryker, è impiegata in caso di grave artrosi post-traumatica conseguente a pregresse fratture e nell’artrosi avanzata di caviglia, per le quali è indicato il posizionamento di una protesi totale. Si tratta di patologie che causano molto dolore e limitano in maniera significativa la deambulazione, con conseguente zoppia, e lo svolgimento delle attività quotidiane.

L’articolazione

La caviglia è un’articolazione dalla biomeccanica particolare. Ha una superficie molto piccola, che subisce sollecitazioni importanti legate al carico che ciascuno di noi produce a ogni passo. Inoltre, a differenza delle articolazioni di ginocchio e anca che sono isolate, la caviglia è inserita in un contesto di collegamento tra gamba e piede, messi a loro volta in contatto dall’articolazione tibio-tarsica. Ecco perché programmare un intervento di protesi di caviglia non è così semplice e occorre mettere in conto una serie di fattori secondari all’assetto del piede o all’allineamento delle estremità di tibia e perone.

La pianificazione dell’intervento

Dopo la valutazione clinica del paziente, si procede all’acquisizione di una tac tridimensionale della caviglia e del ginocchio che permette una rilevazione precisa e accurata dell’arto e all’invio negli Stati Uniti. Una volta studiato accuratamente il caso, gli ingegneri del laboratorio americano progettano le guide che serviranno per il posizionamento della protesi. Solo a seguito dell’approvazione da parte del chirurgo ortopedico verrà avviata la produzione dei componenti “custom made”.

In sala operatoria, infine, si procede all’intervento grazie all’utilizzo di un sistema di centraggio radiologico che permette un corretto posizionamento delle guide e di collocare la protesi così come è previsto dal modello virtuale.

I vantaggi

L’impianto di protesi tramite il sistema Prophecy Stryker è più accurato rispetto alla tecnica manuale. “Questo strumento – spiega il dottor Valcarenghi – offre al chirurgo la soluzione per un trattamento personalizzato dei pazienti affetti da artrosi di caviglia. Si riducono, infatti, i tempi di intervento e di recupero post-operatorio e l’esposizione radiologica. Conseguentemente, saranno più brevi il ricovero e la ripresa della mobilità. Inoltre, la minore esposizione tessutale consente un miglior controllo del dolore dopo l’operazione”.

La degenza standard è stata ridotta a due o tre giorni con inizio della riabilitazione fisioterapica, in collaborazione con il reparto di Riabilitazione Funzionale, a tre settimane dopo l’intervento. In questo periodo il paziente deve indossare un tutore di immobilizzazione, che può essere rimosso per le medicazioni e per eseguire esercizi di mobilizzazione della caviglia da iniziare già dopo una settimana dall’operazione.

“E’ fondamentale – conclude il dottor Valcarenghi – poter offrire a un paziente con artrosi tibio-tarsica post-traumatica caratterizzata da significativo dolore e autonomia deambulatoria compromessa una soluzione che raggiunga gli stessi risultati ottenuti dalla moderna ortopedia a livello delle altre articolazioni maggiori portanti e cioè ottenere un’ottimale funzionalità della tibio-tarsica da operare, eliminare o ridurre il dolore e garantire risultati duraturi nel tempo”.

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