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Arrestato nel viterbese il boss della mafia turca

Con un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 19 persone, quasi tutte di origine turca ma che vivono in Italia, Svizzera, Germania e Turchia, la Procura di Milano ha smantellato una rete criminale guidata dal presunto boss della mafia turca Baris Boyun, uno degli uomini più ricercati da Ankara. Le accuse contestate, a vario titolo, sono associazione per delinquere aggravata dalla transnazionalità, banda armata diretta a costituire un’associazione con finalità terroristiche e a commettere attentati terroristici, detenzione e porto illegale di armi “micidiali” e di esplosivi, traffico internazionale di stupefacenti, omicidio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Il provvedimento del gip milanese Roberto Crepaldi è stato eseguito all’alba, assieme a un paio di fermi, da centinaia di poliziotti coordinati dall’antiterrorismo milanese, in particolare dal pm Bruna Albertini e dal procuratore Marcello Viola. Un task force congiunta di forze dell’ordine italiane e Interpol alle 4 di questa mattina ha fatto irruzione in un appartamento in via Cardinal G. Francesco di Gambara nella frazione viterbese di Bagnaia, dove sembra stesse da tempo agli arresti domiciliari e piantonato Boyun, che intorno alle 5:30 è stato portato via dagli agenti per essere condotto presumibilmente a Milano.

Boyun, era stato arrestato nell’agosto del 2022 a Rimini, a seguito di un mandato di cattura internazionale emesso nei suoi confronti dal governo turco per le accuse di omicidio, minacce, lesioni, associazione a delinquere e violazione sulla legge sul possesso di armi. Al momento del suo arresto, Boyun aveva fortemente rigettato le accuse, sostenendo di essere un perseguitato politico di origini curde, e di aver già chiesto la protezione internazionale all’Italia.

In seguito, il presunto boss era stato al centro di querelle tra lo Stato italiano e quello turco che, ne aveva chiesto l’estradizione. Richiesta che era stata rigettata prima, dal tribunale di Bologna e in seguito dalla Corte di Cassazione. Il blitz a Bagnaia si inserisce in una grossa operazione condotta questa notte dalla Polizia, che ha portato all’arresto di circa 18 perone tra la Sicilia e la provincia di Viterbo. 

L’indagine è nata nell’ottobre 2023 dopo l’arresto di tre componenti dell’organizzazione mentre cercavano di raggiungere la Svizzera: erano in possesso di due pistole, di cui una clandestina, munizioni e materiale di propaganda. Dagli accertamenti successivi è emerso che i tre stavano facendo da scorta al loro capo, Boyun, 39 anni, ed alla compagna, i quali viaggiavano su una macchina separata. Pure la coppia è destinataria del provvedimento del gip Crepaldi.

Gli investigatori della Squadra Mobile di Como, della sezione investigativa di Milano e dello Sco di Roma, guidati dalla Procura, hanno documentato come Boyun, da un’abitazione di Crotone dove era ai domiciliari con braccialetto elettronico per detenzione e porto di arma comune da sparo, continuava a dirigere e coordinare dall’Italia la sua rete che agiva in Europa.

Si va dall’organizzazione dell’ingresso dei migranti, dietro tariffe, attraverso la rotta Balcanica, all’ordine di un omicidio di un suo concittadino avvenuto il 10 marzo scorso, fino all’obbligo per i suoi sodali di commettere reati anche terroristici in Europa, in particolare a Berlino. In Turchia, invece, sarebbe stato la “mente” dell’attentato, poi sventato grazie allo scambio di informazioni tra le polizie italiana e turca, a una fabbrica di alluminio del 19/20 marzo scorso, così mostrando di disporre di armi con una elevata potenza di fuoco e di molto denaro proveniente per lo più dal traffico di sostanza stupefacente, ma anche dal contrabbando delle sigarette e di farmaci.

All’inchiesta, visti i consistenti flussi di soldi per le attività dell’associazione, ha collaborato anche la Sezione Investigativa Finanziamento Terrorismo della Gdf di Milano. L’operazione, tuttora in corso, sta coinvolgendo centinaia di poliziotti tra Svizzera e Italia, tra cui personale della Squadra Mobile di Como, dello Sco di Roma, della Sezione Investigativa Sco di Milano e di Brescia, delle Squadre Mobili di Catania, Crotone, Verona e Viterbo.

Pm Milano: ‘Nessun attentato programmato in Italia da Boyun’

 “Non sono emersi attentati programmati in Italia e nemmeno nei confronti delle nostre istituzioni”. Lo ha detto in conferenza stampa il neo procuratore aggiunto di Milano Bruna Albertini, titolare dell’indagine che ha portato all’arresto del presunto boss della mafia turca Baris Boyun e parte dei componenti della rete. Il pm, che fa parte della Ddda milanese, ha spiegato che Boyun in “Italia si sentiva protetto in quanto il mandato di arresto proveniente dalla Turchia non era stato avallato” dalla magistratura di Bologna. Gli attentati emersi dall’inchiesta riguardano una fabbrica di alluminio in Turchia, poi sventato, un noto ristorante e una gioielleria di Istanbul. Boyun, quando era ai domiciliari a Crotone, è stato oggetto di un attentato organizzato dal gruppo criminale rivale. 

Boss mafia turca, ‘sostituiremo il Pkk per la rivoluzione’

L’aspetto ‘politico’ della ‘lotta’ di Baris Boyun, 39 anni, di origine curda e ‘capo’ della banda armata turca smantellata con l’operazione di stamani di Polizia e Gdf, emerge da una conversazione intercettata del 16 gennaio scorso nella quale annunciava di aver ‘mandato notizie alla gerarchia superiore del Pkk’, l’organizzazione paramilitare curda.

‘Ho detto che non accettiamo un’organizzazione così – diceva – e che fonderemo una nuova organizzazione iniziando una nuova rivoluzione’. Boyun, destinatario come altri 18 di un’ordinanza di custodia in carcere firmata dal gip di Milano Roberto Crepaldi nell’inchiesta coordinata dal pm Bruna Albertini, stava ‘continuando dall’Italia’, dove riteneva ‘di aver trovato protezione’, ‘insieme ai suoi uomini, una guerra per conquistare la supremazia su altri gruppi criminali che hanno infestato, a suo giudizio, lo Stato turco, lotta che evidentemente non coinvolge solo l’aspetto criminale ma anche quello istituzionale, accusato di fiancheggiare e favorire altre organizzazioni’.

La finalità ‘del gruppo capeggiato da Boyun’, scrive il gip, non si limitava ad una ‘lotta armata’ tra clan ‘per il controllo del territorio e delle dinamiche criminali (traffico di droga, di armi e di migranti), come spesso constatato in passato nel contesto italiano tra associazioni mafiose rivali, ma assume natura propriamente terroristica’.

Gli ‘attentati, gli omicidi, le gambizzazioni sono certamente funzionali a imporsi rispetto agli altri gruppi criminali – spiega il gip – ma anche a spezzare il legame esistente, sempre nell’ottica di Boyun, tra queste e lo Stato, orientando i comportamenti delle istituzioni e sostituendosi, evidentemente, a quei legami’. E la ‘destabilizzazione passa’ anche, riassume il giudice, ‘dall’imporre il terrore nella popolazione’.

Boss mafia turca, ‘tutta la Turchia parlerà del mio attentato’

‘Dammi una settimana di tempo, sto facendo grandi preparatorie, tutta la Turchia ne parlerà’. Così, intercettato mentre era ai domiciliari a Crotone, Baris Boyun, 39 anni, il “capo” della “banda armata” turca attiva anche in Italia e in altri Paesi europei, stava programmando un “attentato” ad una fabbrica “di alluminio” in Turchia, anche attraverso un “kamikaze”. Attentato terroristico sventato grazie ‘all’intervento della polizia turca’ allertata dagli investigatori italiani.

Lo si legge nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di 19 persone, tra cui lo stesso Boyun, detto “il fratello maggiore”, firmata dal gip di Milano Roberto Crepaldi, su richiesta del pm Bruna Albertini.

‘L’incessante numero di telefonate di Boyun consente di seguire praticamente in diretta i preparativi dell’attentato’, scrive il gip. Dalla ‘costituzione del gruppo di fuoco’ ai ‘sopralluoghi alla fabbrica attraverso il drone’ fino all’ipotesi della ‘bomba umana’.

Boyun, nel marzo scorso, diceva: ‘Siete pronti, ragazzi? buona fortuna in battaglia! radete al suolo quella fabbrica’. La Polizia italiana, però, ‘aveva provveduto a informare le autorità turche che inviavano sul posto numerose pattuglie impedendo la consumazione dell’attentato alla fabbrica e al Burhanettin Saral’, il titolare ed esponente di un gruppo criminale ‘rivale’ a quello di Boyun.

Saral era anche giudicato da Boyun ‘responsabile’ di un ‘attentato’ ai suoi danni. L’obiettivo ‘diretto dell’attentato’ alla fabbrica, spiega il gip, era ‘proprio il Saral, ma l’intenzione del Boyun e dei suoi uomini’ era, comunque, ‘di interferire con lo status quo esistente Turchia’.

Boyun voleva ‘scalzare il gruppo attualmente al potere, che corrompe lo Stato e lo considera come un criminale di ‘quarta categoria”. E proprio per ‘dimostrare la propria potenza al potere politico turco, per Boyun è indifferente che si riesca davvero ad uccidere il rivale o meno: ‘se questo affare non avesse successo, credimi – diceva intercettato – faremo puntare su di loro gli occhi dello Stato e poi li spaventeremo noi”..

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