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L’omicidio di Cerciello, il processo bis è da rifare

Un nuovo processo di appello che potrebbe portare ad uno sconto di pena per i due imputati. E’ quanto, sostanzialmente, produce la decisione della Cassazione che ha annullato con rinvio alla Corte d’Assise d’Appello di Roma il procedimento a carico di Lee Elder Finnegan e Gabriele Natale Hjorth, accusati della morte del vicebrigadiere dei Carabinieri, Mario Cerciello Rega, ucciso con 11 coltellate il 26 luglio del 2019 a Roma, a poca distanza da piazza Cavour.

I giudici della Suprema Corte hanno disposto un processo bis di secondo grado chiedendo ai giudici di piazzale Clodio di valutare le aggravanti per Elder, in relazione al reato di resistenza a pubblico ufficiale, mentre per Hjorth relativamente all’accusa di concorso in omicidio. Il nodo, in particolar modo per la posizione di Elder, autore materiale dell’omicidio, è legato alla sua presunta consapevolezza del fatto di avere aggredito dei carabinieri e, in particolate, al giallo legato al tesserino di riconoscimento. Il secondo processo di appello si terrà nei prossimi mesi, dopo che gli ermellini avranno depositato le motivazioni della pronuncia arrivata nella tarda serata di mercoledì. Gli imputati hanno accolto la decisione dei Supremi giudici con soddisfazione. Soprattutto la posizione di Hjorth, condannato a 22 anni, potrebbe alleggerirsi anche in termini di condanna. “Oggi dopo quattro anni svegliandomi ho provato sollievo anche se mi rendo conto che la strada per ottenere la libertà è ancora molto lunga”, ha detto ai suoi difensori commentando la sentenza del Palazzaccio. Il giovane ha ammesso di essere “scoppiato in lacrime” alla notizia aggiungendo di essere “felice anche per la sua famiglia” senza però dimenticare “la famiglia del vicebrigadiere a cui mi sono sempre sentito vicino”. Dal canto suo Elder, a cui sono stati inflitti nel processo di appello 24 anni e che oggi ha incontrato i genitori in carcere, ha detto ai suoi legali che “finalmente sta emergendo la verità” e che “si poteva capire da subito cosa era successo: non sapevo che Cerciello fosse un carabiniere”.

Sul punto i giudici di appello, nelle motivazioni della prima sentenza, affermano “che è corretto sostenere che Elder avesse avuto piena contezza del significato della parola ‘Carabinieri’, più volte pronunciata sia da Cerciello che dal suo collega Varriale e che la avesse udita con chiarezza e ritenuta pienamente rispondente al vero”. Per i magistrati l’imputato “ha deliberatamente perdurato nella propria azione aggressiva”, una azione “del tutto abnorme rispetto a quella posta in essere” dal carabiniere “non solo per il mezzo usato (un coltello di 31 cm, con elsa a protezione della mano offensiva, con 18 cm di lama tagliente zigrinata, ad uso militare, ndr), ma anche alla luce delle modalità efferate di esecuzione della condotta, ovvero 11 coltellate su entrambi i fianchi, in serie e a danno di molteplici organi vitali”. Infine il legale della vedova del vicebrigadiere sceglie di non entrare nel merito della decisione. “Gli avvocati non devono commentare mai le sentenze, al massimo possono impugnarle. Attenendomi a questo principio, posso però dire che il mio sentimento e le mie riflessioni dopo la sentenza di ieri sono comuni a molti cittadini italiani”, commenta l’avvocato Massimo Ferrandino.

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