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La Nato vuole più del 2%. Roma frena, ‘è già ambizioso’

Volere è potere, soprattutto quando è dovere. E ormai ci sono pochi dubbi su cosa chiederà Donald Trump agli alleati della Nato quando si siederanno intorno al tavolo al prossimo vertice dei leader, previsto la prossima estate all’Aia, in Olanda: molti più soldi. Il segretario generale Mark Rutte lo va dicendo già da un po’ che il 2% non basterà per finanziare i piani di difesa regionali che l’Alleanza – dunque le 32 capitali – ha approvato. Ora le sue parole – da Budapest, al summit della Comunità Politica Europea – assumono un significato diverso: “È chiaro che servirà molto di più”. Per i ritardatari, come l’Italia, potrebbero essere dolori. Giancarlo Giorgetti ha definito “ambizioso” già il 2%, chiarendo che Roma non ce la farà a raggiungerlo nei prossimi anni.
“Nonostante gli ingenti stanziamenti assegnati, l’obiettivo del 2% del Pil richiesto dalla Nato risulta molto ambizioso e non del tutto compatibile sotto il profilo delle coperture con il quadro vigente della governance europea”, ha detto il ministro dell’Economia in audizione alle commissioni Bilancio di Camera e Senato precisando che, stando alle risorse previste dalla manovra, “arriveremo all’1,57% nel 2025, all’1,58% nel 2026 e all’1,61% nel 2027”. Ma è troppo poco, troppo tardi. In vista del summit di Washington, la scorsa estate, l’ex segretario Jens Stoltenberg si era presentato da Joe Biden con una lista scintillante di ben 23 alleati sopra al 2% (secondo le stime per il 2024). Tutti i big erano riusciti a entrarci, anche per il rotto della cuffia – Berlino col 2,12%, Parigi col 2,06%.
Fuori dal club, in ordine decrescente, la Croazia, il Portogallo, l’Italia, il Canada, il Belgio, il Lussemburgo, la Slovenia e la Spagna. Peccato che ora si parli già di un nuovo target, molto probabilmente il 2,5%. Rutte ha chiarito che adesso servirà un dibattito per decidere se dovrà essere “un obiettivo generale” o se apportare “percentuali diverse Paese per Paese”, sulla base degli impegni presi con i piani di difesa regionali.
Ecco, ogni cosa dovrà però essere tarata sul ciclone Trump, che non molto tempo fa aveva incoraggiato la Russia a far “ciò che desidera” con gli alleati morosi. Non solo. The Donald aveva ventilato persino l’ipotesi di chiedere l’arretrato, ovvero gli anni passati sotto al 2%. Il tedesco Ifo Institute ha fatto i calcoli. I 30 anni persi valgono per la Germania 230 miliardi di euro, per l’Italia 120 miliardi e per la Spagna 80 miliardi.
Sono cifre stellari. Ma la necessità di spendere per la Difesa (e tanto) è ormai imprescindibile. “Non è tanto per colpa di Trump, ma di Putin”, ha notato il nuovo commissario Ue alla Difesa Andrius Kubilius. Le sfide che l’Europa ha davanti – se vuole davvero contare di più ed emanciparsi gradualmente dagli Usa prima che sia troppo tardi – sono colossali. Allo studio, ad esempio, c’è uno scudo aereo comune. Costo: 500 miliardi. Il tema dei finanziamenti è al centro del rapporto Draghi e del dibattito europeo. L’Italia, da tempo, chiede che le spese per la sicurezza siano scorporate dal patto di stabilità.
Kubilius, nel corso della sua audizione al Parlamento Europeo, si è detto d’accordo. Un’altra ipotesi, in ambito Nato, è quella di conteggiare diversamente le spese. “Non siamo a favore, è un modo per truccare i conti”, commenta però un alto diplomatico.
“È vero, l’Italia partecipa a molte missioni internazionali ma lo facciamo anche noi”, sottolinea una fonte di un Paese europeo sopra al 2%. Insomma, ora che il gioco si fa duro ci sarà poca simpatia per i ricalcitranti.    

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