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Punta Giglio inutilmente ingabbiata

Che età ha il promontorio di Punta Giglio? Ho provato a domandaglielo ma non mi ha dato risposta, pregandomi di rivolgersi alla pretenziosa e più importante punta di Capo Caccia. Questa, guardandomi dall’alto in basso dai suoi 186 metri d’altezza, mi ha pregato di contare sino a settanta milioni, perché tanti sono i suoi anni dal giorno in cui è emersa prepotentemente dal mare, con le sue falesie, in tutta la sua possanza assieme alla stessa Punta Giglio. Da allora è iniziata la loro lunga e instancabile battaglia contro il mare e il vento che non gli hanno mai dato tregua con i loro intermittenti e feroci assalti. Poi ci si è messo l’uomo e non ripeterò qua le vicende più che controverse di Punta Giglio che hanno urbanizzato in via definitiva e stabile la propaggine del promontorio. Mi riferisco, invece, all’ultima “attenzione” che l’Ente Parco dedica alla falesia con le previste opere di riduzione del rischio di frana (Hg4, il massimo) sancite dal Pai, il Piano di assetto idrogeologico. Sono opere invasive (con interventi sul costone con la previsione in taluni casi della messa in opera di reti) in un’area dove nidificano importanti specie di uccelli tutelati da specifiche norme, che se avesse voce non chiederebbe altro che di essere lasciata in pace.

Mettendo da parte qualsiasi polemica sulle persone e sorvolando nel merito sull’assurdità dell’intervento, incredibilmente paragonato dal direttore del Parco al consolidamento di un costone franoso su una strada trafficata (come i pendii sulla strada per Bosa o gli strapiombi di Scala di Giocca sulla SS 131), che dà l’idea sull’approccio “naturalistico” che qualifica alcuni delicati interventi dell’ente sulle aree di cui si dovrebbe prender cura, mi soffermo sulla novità appena appresa e che mi induce a scrivere questo intervento. La novità è il parere dell’Agenzia del Distretto Idrografico della Regione rilasciato in data 24 marzo 2022 sul secondo progetto di consolidamento (sul primo, appena appaltato, l’Agenzia non si era espressa nei termini incorrendo nell’assai poco rassicurante “silenzio assenso”), con il quale dichiarava sostanzialmente inutile il progetto di mitigazione ritenuto inidoneo a ridurre il rischio di frana. Qui si sarebbe dovuto fermare il tutto, compreso il primo appalto, perché l’Agenzia regionale è il braccio tecnico e operativo dell’Autorità di bacino che dovrà esprimersi “espressamente”, un domani, sull’eventuale declassificazione della falesia dalla pericolosità elevata e molto elevata di frana modificando il Pai e che anticipa già da oggi un parere negativo in merito a tale possibilità.

Ma c’è sempre la birichinata burocratica di turno a lasciare spazio alla fantasia gestionale degli organi tecnici del Parco di Porto Conte. Hanno scritto a Cagliari più o meno: “L’opera non serve a niente ma se vi va di farla a vostre spese fate pure. Ma che non vi venga in mente che possa essere qualificata come opera di mitigazione del rischio di frana perché non lo è. Restano infatti vigenti anche dopo la sua esecuzione tutti i limiti e i divieti di praticabilità e frequentazione dell’area sottostante la falesia previsti dal Pai. Anzi, se accadrà qualcosa a persone o cose ne sarete dichiarati responsabili. Pertanto fate pure ma a vostro rischio e pericolo”. Davanti a tali vicende dell’umana specie che non trova pace con se stessa, la Calonectris diomedea (Berta maggiore), il Puffinus yelkouan (Berta minore), il Phalacrocorax aristotelis desmarestii (Marangone dal ciuffo), il Falco peregrinus e il Larus audouinii (Gabbiano corso), che frequentano le pareti rocciose di quei siti, osservano il tutto incuriositi, un poco attoniti e abbastanza sfiduciati. Dimenticavo: sul primo progetto il Comune di Alghero non si era espresso in modo manifesto lasciando decorrere i termini per il “silenzio assenso”. Anche questo è un segno dei tempi.

*Carlo Mannoni.

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